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L'inferno di Ladakh

da "Il Gazzettino" del 09 agosto 2010 di Alda Vanzan
Isolati nel fango e nell’acqua della regione del Ladakh, India. Attorno a loro la distruzione: villaggi devastati, case crollate. E morti, feriti, sfollati. Non potevano telefonare: tutti i collegamenti saltati. Cellulari muti, Internet fuori uso. Impossibile riuscire ad avvertire i familiari, rassicurarli. Per dieci italiani appassionati delle due ruote la vacanza nel nord dell’India si è trasformata in un’odissea. «Un incubo».
Raffaele Bimonte e Roberta Rinaldin, di Mestre, erano partiti il 25 luglio con un gruppo di altri italiani, in tutto dieci persone, zaino in spalla, tenda arrotolata, bicicletta sotto il braccio, per percorrere una delle mete più ambite dei cicloturisti: la Manali-Leh, circa 600 chilometri pedalando, per arrivare al passo carrozzabile più alto del mondo: il Kardung La, 5.602 metri. Il piccolo Tibet, lo chiamano. Per questo viaggio organizzato con una guida italiana e altre guide locali avevano scelto la stagione giusta: il Ladakh, nella regione del Kashmir, protetto com’è dalle catene montuose, non è raggiunto dai monsoni. Scarse precipitazioni nevose - recitano le guide turistiche - e ancora più scarse le piogge, appena 10 centimetri all’anno. E invece è venuto giù il diluvio. E col diluvio le montagne si sono sciolte: fiumi di fango che si sono portati via baracche e villaggi. «Avete presente Sarno? Peggio», spiegano Raffaele e Roberta.
«Mercoledì 4 agosto siamo arrivati a Leh e quell’ultimo tragitto l’abbiamo fatto in auto perché c’erano state le prime avvisaglie del maltempo, il fiume Indo, in realtà un fiumiciattolo, aveva cominciato a esondare». Il gruppo - tra cui anche tre amici vicentini di Schio e la guida di Arco, Trento - pernotta all’hotel Shambha-La. Il giorno dopo, giovedì 5 agosto, dopo si inforcano le biciclette e si raggiunge il passo Kardung La. Fatta. Tornano in albergo e si preparano a ripartire: la mèta è stata raggiunta, la vacanza è ormai finita, il giorno dopo devono rientrare a Delhi. Ma non sanno che nella notte ci sarebbe stato il disastro: acqua dal cielo, acqua che esonda dai fiumi.
Quando arrivano all’aeroporto di Leh scoprono che partire per Delhi è impossibile: «Era tutto bloccato, voli cancellati, comunicazioni in tilt». E le prime notizie del disastro: morti, feriti, gente isolata nei villaggi. «Parlavano di 200 morti e 300 feriti. Siamo andati in paese, a Leh, era tutto chiuso per lutto cittadino». Il gruppetto di italiani rientra in albergo, ma la situazione meteorologica si aggrava: «C’era il rischio di altre esondazioni, l’hotel è stato evacuato, ci hanno portato tutti su, dove c’era anche la gente del posto che cercava riparo da possibili frane - raccontano Raffaele e Roberta -. C’era una casa in costruzione, senza tetto, l’avevano coperta con dei teli e la gente si era ammassata là. Noi siamo rimasti fuori, abbiamo dormito in auto».
Alle tre di notte la decisione: ormai è sabato, meglio recuperare i bagagli, biciclette comprese, e ripresentarsi all’aeroporto, tentare di partire per Delhi. «C’era un caos indescrivibile». Il volo di questo gruppetto di italiani, dopo essere stato cancellato, era stato rischedulato per domenica - cioè ieri - ma tutti cercavano di ripartire il prima possibile, appena arrivava un aereo, anche per non perdere le coincidenze con gli altri voli. «Ce l’abbiamo fatta a partire sabato pomeriggio pagando 100 euro a testa ai militari. Erano loro a decidere chi poteva salire a bordo e chi no. E anche pagando non è stato facile». E l’Ambasciata? «Impossibile telefonare, la rete era saltata. Chi era senza contanti e aveva solo con la carta di credito era in enorme difficoltà perché gli sportelli non funzionavano».
L’odissea per Raffaele, Roberta e gli altri otto italiani è finita con l’atterraggio a Delhi. «E a Delhi ci è arrivato l’sms dell’Ambasciata italiana. Prima di partire ci eravamo registrati nel sito della Farnesina "dovesiamonelmondo" e così evidentemente è partito il messaggio. Ma era tragicomico: il consiglio era di contattare in caso di emergenza un numero telefonico. Ma come potevamo telefonare se eravamo isolati?». Ieri pomeriggio l’arrivo in Italia. Sani e salvi. Per scoprire che a casa, del disastro di Ladakh, nessuno sapeva quasi niente.